L'ultima frontieraNell'Isola dei pinguini, a sud-est di Melbourne, un cubo dalla pelle di legno sfida mare e venti. Quasi un elemento vegetale, ligneo e integrato fuori, levigato e luminoso all'interno.Testo Paolo Ruggiero
Foto Gaelle Le Boulicaut
Centoquaranta chilometri a sud-est di Melbourne in
Australia c'è una piccola isola, Philip Island, nota come "isola dei
pinguini", e vedremo perché.
Immaginate una baia ad anfiteatro, con una cintura di
dune di sabbia e collinette verdi. Quasi ogni giorno una luce danzante, le piante abituate al continuo irraggiamento solare, con le foglie che si mettono di taglio per assorbire il minor calore possibile.
E poi, le condizioni ideali per praticare un
"terrific surf": vento teso con raffiche costanti e adrenalina pura sul
mare formato. È qui, a pochi metri dall'acqua e su uno dei quattro angoli di un lotto di terreno di quasi mille metri quadri, che l'architetto Steven Last ha scelto di piantare (proprio come un albero) una casa di mare davvero singolare, capriccio sentimentale e vagamente nostalgico: la Last Beach House. «Volevo un'abitazione che mi ricordasse le vacanze al mare di gioventù, con le case rustiche e minimali degli anni 70, le capanne», racconta Steven.
Così, lasciando per qualche giorno il suo studio a
Melbourne, anni fa si prese il giusto tempo per esplorare a fondo
l'isola, a piedi. «Philip Island era un luogo ancora non edificato. Ho
capito che mi trovavo sull'ultima frontiera incontaminata».
Gli anni 70, quelle estati a contatto con la natura, e poi una grande passione per i paesaggi della Tasmania hanno influenzato fortemente questo progetto, nato da un disegno accennato su carta e via via reso più nitido dalla consapevolezza maturata da Last in molti anni di progettazione "ecologica".
Il risultato è un volume cubico, con una robusta pelle in legno in grado
di resistere alle sollecitazioni del vento. Colori e materiali locali, «come se la casa fosse emersa dal suolo». Un'abitazione costruita secondo i criteri dell'ecoarchitettura e con un budget volutamente ridotto. Non si tratta però di una seconda casa al mare dove – lasciato il caos urbano – eccone un altro, quello non meno spossante delle affollate villeggiature estive.
Piuttosto un rifugio sereno, un nascondiglio dove
tornare anche d'inverno. Un luogo da condividere con gli ospiti,
spazio essenziale
per riposarsi, godere della luce, praticare il grande surf. L’interno su due livelli conta pochi ambienti nel segno dell'abitabilità: sala da pranzo, zona living con grande apertura panoramica, i servizi e le camere da letto. Le unità abitative sono arredate con oggetti semplici e funzionali. C'è un'alternanza di parquet e battuto di cemento grigio grafite per i pavimenti e colori "vintage" che si alternano al bianco sulle superfici verticali.
Uno spontaneo e tutto sommato sobrio eclettismo di cromie e materiali,
che ben bilancia e si oppone all'uniformità dell'esterno.
«Tra gli oggetti di arredamento sono particolarmente affezionato a una
chaise-lounge Tessa T4, un pezzo di design australiano aquistato per
poco e ora di grande valore. E poi, naturalmente, il quadro in cucina,
intitolato "ghost birds dreaming" che ho dipinto io stesso», scherza
Last.
Una delle stanze al
primo piano affaccia sulla baia protetta da una balaustra di rami
intrecciati. Una soluzione che volutamente ricorda i nidi degli uccelli
o le capanne sugli alberi, «un balcone che mette immediatamente in
contatto con la riserva naturale circostante».
Attraverso una scala esterna in ferro, invece, è possibile salire
sul tetto-osservatorio e da qui guardare l'orizzonte e valutare i venti. Oppure assistere a uno spettacolo di gioia che si ripete ogni sera al tramonto. Quando centinaia di pinguini, terminata la giornata di pesca in rada, ritornano chiassosi e in gruppi alla spiaggia.
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