URBAN Magazine

Natura matrigna

Un viaggio onirico, a tratti allucinante, dentro l'Orto botanico di Bologna, una mattina d'estate.

Testo di Paolo Ruggiero

Foto di Giovanni Troilo

Urban, articolo di Paolo Ruggiero

 

Articolo Paolo Ruggiero su Urban

 

Ci sono tante "trappole" a tagliola, bocche verdi seducenti, con denti morbidi.

Dentro ogni trappola sei piccoli sensori. Simili a peli, trasparenti.   

E poi qualche insetto imprudente, che si avvicina troppo. 

La carnivora Dionea, scatta. Gli si chiude intorno. A volte non completamente, e lascia intravedere una mosca -il boccone più ghiotto- ancora viva, mezza soffocata, mentre gli enzimi digerenti della pianta cominciano a dissolverla. Sciolta nell'acido, letteralmente!

Dentro l’Orto botanico di Bologna, filtra una mattinata luminosa e verdognola. Quest’angolo di natura ad alta densità intra-moenia esiste dal 1568 ma è dove si trova adesso, al numero 42 di Via Irnerio, solo da duecento anni.

Due ettari di verde in piena città, che non ti aspetteresti: qui è possibile attraversare spaccati di vegetazione mantenuti o riproposti proprio com’era quando all'esterno “una volta era tutta campagna".

“Un luogo tutto sommato piccolo – racconta Umberto Mossetti, il curatore – però contiene ricostruzioni accurate e all’aperto di ambienti improbabili in città: il bosco golenale, lo stagno, il bosco mediterraneo sempreverde."  

entrata orto botanico di bologna

Se si va a curiosare attentamente tra le serre, alcune sotterranee e così affollate che sembra di ritrovarsi in una foresta alluvionale fitta e insidiosa,   è possibile incontrare personalità vegetali speciali, ipnotiche, a volte spietate.

Sembrano crescere direttamente dai fondi più misteriosi della natura e spostano l'immaginazione del visitatore, che affogato di colpo dentro un clima tropicale a 35 gradi e umidità al 90% deve lasciare fuori la giacca e parte dei propri arcadici pregiudizi sul mondo vegetale.

Calate dentro microclimi stabilizzati vivono e si mostrano nella propria concretezza piante che si pensava fossero soltanto un gusto di gelato o il profumo dello shampoo: Tamarindo, Avocado, Jojoba. Imperturbabili e lunari, qui abitano i Lithops, che sembrano quasi sassi.

Oppure l'Hydnophytum formicarum, che nasconde -dentro un labirinto di tunnel scavati nelle radici- una colonia di irascibili formiche, pronte a difenderlo da eventuali aggressioni.

Altre pianticelle vegetano apparentemente sornione, in ordine dentro aiuole d'altri tempi, all’aperto. Se ne stanno quiete con il loro cartellino appeso come un badge e portano nomi suadenti: Digitale, Datura, Belladonna. In realtà sono molto, molto velenose. Meglio non toccare.

Sul prato, rimane il mozzicone del tronco di un albero, motosegato ad altezza uomo: un fortino per i funghi è quel che rimane di un pioppo canadese di 42 metri squarciato da un fulmine. Come una grande rasoiata. Lo ha scorticato longitudinalmente intaccando il tronco in profondità.           

I frammenti carbonizzati sono schizzati lontano. Una ferita per cui non c’è stata cura. Senza il pioppo canadese, ora le saette si accaniscono su una meno esotica quercia, che mostra già il suo primo sfregio da temporale. Scuro, netto, alto due piani di condominio. Fa impressione.

Poi c’è il Ginkgo, una pianta leggendaria, originaria del Giappone. Più cattivo della bomba atomica. Sembra che un esemplare sia riuscito a rispuntare anche tra le ceneri di Hiroshima.

Un’altra perfida primadonna dell’orto botanico è la Nepenthes. Una carnivora dall’ingannevole aspetto pacioso e accogliente che può svilupparsi in altezza per alcuni metri e sta continuando a crescere, dentro una serra tropicale sotterranea.  

dentro l'Orto botanico di Bologna

Modifica le proprie foglie in modo da formare l'ascidio: una specie di contenitore dalla forma gentile, tipo brocca da vino, con un'apertura in alto. Attrae gli insetti con trucchetti semplici: colori invitanti, il profumo del nettare.

Quelli che ci cascano, iniziano il loro viaggio di terrore verso una fine lenta e raccapricciante. Scivolando verso il fondo, pattinano, si agitano, cercano di risalire, ma non ce la fanno: la superficie è vischiosa, la strada verso l'esterno bloccata da squame che si piegano e lasciano passare soltanto in una direzione, verso il basso.

Nella “brocca” forse troveranno la compagnia di altri insetti, amici e nemici... 

La Nepenthes se li digerisce tutti con gran calma, dentro le sue ascidie che continuano a crescere e svilupparsi, confortevoli e piene di liquido gastrico.

Entrando, nella sua serra, conviene lasciare la porta aperta, come via di fuga: non si sa mai…