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Corriere della Sera - Cultura & Spettacoli (Edizione di Bologna)
Il miraggio della città «più adatta a vivere una giovinezza epicurea» nell'esordio di Ruggiero
di Piero Di Domenico, 4 novembre 2020

 

 

 

Abita in una casa al quinto piano, all’angolo tra via Fondazza e via San Petronio.
Dalla sua stanza scorge la continua distesa di tegole e tetti del centro storico, che si dirada poi verso i colli,
segnati invece da alberi e tralicci di ripetitori.
Di sera, poi, i profili delle due torri, gli Asinelli, «sottile, quadrata come un fiammifero, con una luce rossa in cima»,
e la Garisenda, «una torre fragile, sorvegliata dai sensori dell’Istituto di vulcanologia per evitare che faccia scherzi».
Anche se per lui le torri di Kenzo Tange in Fiera sono l’architettura più bella della città.

Il quasi trentenne Livio, studente uscito «dalla placenta friulana», fuori sede a Bologna,
è il protagonista de La grande stagione.
Romanzo d’esordio, uscito per Castelvecchi, di Paolo Ruggiero, giornalista e fotografo cresciuto in Friuli
che a Bologna negli anni ‘90 ha studiato Scienze politiche e che oggi vive a Parigi.
Il protagonista delle 313 pagine è colto al tramonto della sua stagione universitaria,
anche se l’idea di mettersi a cercare un lavoro gli dà una sottile nausea.

Perché «a Bologna, più che altrove,
giungere alla fine dell’esperienza universitaria può fare male.
In questa città può essere un trauma constatare un giorno,
come tutti, che non è possibile restare giovani a oltranza».

A Bologna era arrivato come tanti, irretito dalla sua fama da «città dei balocchi».
Dopo accesi confronti con gli amici, aveva maturato la convinzione che «la città dove puoi goderti di più la vita,
se hai tra i venti e i trentacinque anni, ce l’abbiamo sotto i piedi, è proprio Bologna.
La città d’Europa più adatta a vivere una giovinezza epicurea, libertina, sensuale».
Proprio come quella che Livio insegue grazie a una città complice: «Di giorno i toni caldi possono affaticare,
dopo tanti anni vorresti più trasparenze, acciaio, vetro.
Ma la notte Bologna riesce ancora a stupirti, sulla sua complicità ci puoi contare».
Una città in cui, ha scritto il critico Renato Barilli recensendo quello che ha definito un «autoromanzo»,
«Livio si aggira sia per ragioni di studente, sia per la disperata ricerca di un impiego,
intento anche a soddisfare i bisogni primari del cibo e del sesso».

Con una narrazione che consente quasi di ricavarne «una guida per appetiti solidi e nello stesso tempo
non sostenuti da adeguate risorse economiche. Lo stesso, e anche più, si dica per gli appetiti carnali».
La scrittura di Ruggiero lascia trasparire una costante trama musicale e la sua profonda passione per la fotografia,
che si riverbera anche nel suo alter ego: «Sono convinto che vedere le cose con uno sguardo “fotografico”
porti a raccontare meglio, a trovare sintesi e equilibrio anche nella scrittura».

Dopo la laurea, quando Bologna sembra ormai «statica, ingiallita come un affresco»,
Livio troverà lavoro in un’agenzia pubblicitaria. Prima di trasferirsi a Parigi
e poi partire verso un’isoletta greca delle Cicladi, sempre alla ricerca di una spiegazione sull’incidente di volo
in cui da bambino ha perso il padre pilota.

Il romanzo, che si apre con citazioni del prediletto Albert Camus,
di Dino Campana e Filippo Scòzzari
, «Una città non ti dà nulla se non sai come mungerla»,
non è però legato solo a un periodo specifico della vita.

È piuttosto, come lo definisce Ruggiero stesso, «un ritorno del sole sui propri giorni,
della voglia di mordere la vita e di goderne appieno
. Non un banale edonismo, ma una “joie de vivre”,
una gioia dei sensi e del viaggio, cui è giusto ambire fino alla fine».