Fa bene, rileggere i libri che ci hanno dato qualcosa. La prima volta ci si fa coinvolgere dall'intreccio, le ambientazioni,
i personaggi. La seconda si riesce a distinguere meglio anche il "sound" proprio al libro, la voce sorgiva dell'autore o dell'autrice. 
Tracce del tuo passaggio, una raccolta di racconti di Grazia Verasani, del 2002, mi è venuta voglia di ricominciarlo appena chiuso. E avevo già incontrato Giorgia Cantini, l'inquieta investigatrice privata dei suoi successivi romanzi,
Quo vadis, baby? e Velocemente da nessuna parte.
Di Simona Vinci, finito l'ultimo Stanza 411, ho voluto rileggere un libro del '99, In tutti i sensi come l'amore, ritrovando intatte la nitidezza, la luce trasparente di certe descrizioni: giornate urbane in cui sembra che niente si sposti, e invece…
Proprio rileggendole ho pensato fossero due autrici tra loro assai diverse.
Verasani lucida, schietta, umana, teneramente (o amaramente) disincantata. Vinci onirica, autoanalitica, sensoriale, lunatica. Però entrambe sulla pagina le senti ipersensibili, tormentate. "Violente", anche, in alcuni passaggi.
Entrambe capaci di far funzionare una contraddizione o uno spostamento di visuale come scosse o rivelazioni.
Così è stato un piacere sentirle parlare di "cambiamenti", loro due assieme. 

Ricordate un anno, un'età, un evento come un perno attorno al quale si è aperta una vostra diversa percezione di cose, emozioni o persone?

Grazia: «Sì, quando a sette anni stavo cadendo dal quinto piano per rincorrere un piccione che mangiava sulla mia finestra. Finì poi sulla finestra sbagliata, e mangiato a cena dal dirimpettaio. Mesi dopo provai a volare, ma fui salvata in extremis dal braccio di qualcuno».

Simona: «Per indole tendo sempre a pensare che le cose decisive accadranno domani. Sicuramente, un paio di anni fa ho attraversato un momento difficile per tanti motivi. Un periodo che però ha aperto una stagione nuova nella mia vita,
sia privata che professionale. La vita che faccio adesso mi somiglia di più, e ho molta meno paura di tante cose».

Un libro, un autore, un viaggio che su di voi ha avuto un effetto di nuova consapevolezza...

G: «L'autore che in assoluto mi ha più segnata, come persona e anche nella scrittura, è Robert Walser, e in particolare il suo Jakob von Gunten. Ma consiglio tutti i suoi libri. È il classico esempio di scrittore che ha dovuto morire con la faccia sulla neve, fuori dal manicomio dove era vissuto quarant'anni, prima di essere "noto". È anche un monito al fatto che si scrive sempre per necessità e mai per la fama, che sia postuma o in vita».

S: «Un incontro, credo. Con uno scrittore, Vitaliano Trevisan, che prima ho letto e poi ho conosciuto, e che mi ha aiutata, anche se indirettamente, a tirare fuori cose che premevano per uscire ma che non avevo ancora ben chiare.
E anche Jung e la psicoanalisi mi hanno aperto direzioni nuove e bellissime. Tra i libri decisivi potrei citare la lettura di Bataille, che continua a influenzarmi moltissimo, e quella di alcuni romanzi di Coetzee».

Entrambe come scrittrici provenite dalla seconda metà degli anni 90. In una battuta: come vi sembra mutata nel frattempo la narrativa italiana (e i personaggi inventati) e in quali territori vi pare che si stia proiettando?

G: «I territori della visibilità sono sempre più televisivi. Si pubblicano sempre più libri. Ma spesso i più belli muoiono sepolti sotto la montagna dei best seller».

S: «Non la seguo moltissimo, devo dire la verità. Leggo pochissima narrativa, e invece molti saggi e poesia. Anche se uno degli ultimi libri che mi hanno davvero colpita è Gomorra, di Roberto Saviano, di cui ora parlano tutti, ma che ho letto per pura casualità. Ecco, credo che la letteratura italiana stia scoprendo che forse è il caso di sporcarsi le mani e ferirsi gli occhi con la realtà, e anche la contaminazione tra generi mi sembra la prospettiva più eccitante, e fertile».

E la vostra scrittura? Come pensate che si sia evoluta dagli esordi ad oggi?

G: «La meta da raggiungere per me è la semplicità. Ci sto lavorando».

S: «Non saprei. Si resta se stessi pur mutando continuamente. Anzi, guarda, direi che si diventa sempre più se stessi.
Questa è la cosa più bella dell'invecchiare, quando si riesce a farlo per bene, nella vita, e nella scrittura».

Tra i vari cambiamenti di stato che può attraversare un sentimento, qual è quello che più vi affascina?
Quale vi pare più imprendibile, inenarrabile?


G: «Credo l'invariabilità di un sentimento. Qualunque esso sia».

S: «Dal nulla all'amore. Che nasce di continuo, dappertutto. Anche se si nasconde spesso molto bene. E si traveste».

Preferite scrivere di cambiamenti drastici, violenti, voluti, con i quali provare a sterzare l'esistenza,
o di quelli quasi sempre graduali e miti che questa e il tempo ci somministrano come sonniferi?


G: «Non mi piacciono le sfide. Non mi piacciono né la rabbia né l'orgoglio. I cambiamenti possono essere lenti o veloci,
può guidarli l'istinto o una presa di coscienza».

S: «Ogni storia ha la sua genesi, e il suo passo. Però per carattere tendo alle cose drastiche, violente, ai salti nel vuoto».

Quanto spesso vi siete dette (o vi dite): da domani cambio? 

G: «Preferisco augurarmi che cambino delle cose importanti che ci riguardano tutti.
Per quanto riguarda me, è il tempo che mi cambia».

S: «Mai, la vita cambia da sé, e io non so fare progetti. Preferisco affidarmi all'impulso».

Il vostro prossimo libro. Qual è il titolo provvisorio (che forse cambierete)?

G: «Per ora è senza titolo. Perché è come un gatto che devi avere il tempo di osservare prima di dargli il nome giusto».

S: «Strada Provinciale Tre. E non cambierà, credo. Anche se ieri un amico scrittore mi ha buttato lì un'idea
che potrebbe essere bellissima. Stiamo a vedere».

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Intervista pubblicata nella primavera 2007
sul mensile di urban cultures in grande formato BMM.

Intervista a Grazia Verasani e Simona Vinci





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ENGLISH VERSION


It does us good to reread books that have given us something.
The first time round we are bowled over by the "sound" of intrigue, settings and characters.
The second time, however, it you notice, you can also pick out the writer's voice.
As soon as I'd finished it I wanted to reread Tracce del tuo passaggio, an anthology of short stories by Grazia Verasani published in 2002. And I'd already met Giorgia Cantini, the listless private investigator of her later novels Quo vadis, Baby? and Velocemente da nessuna parte.
Moving onto Simona Vinci, upon finishing her latest book Stanza 411, I wanted to reread another work of hers from '99 entitled In tutti i sensi come l'amore, to rediscover the unchanged clarity and transparent light of certain descriptions: city days in which nothing seems to change, and yet...
Upon re-reading them I thought these two writers were completely different to one another. Verasani lucid, frank, human, endearingly (or bitterly) disillusioned. Vinci oneiric, self-analytical, sensorial, moody.
However, on the page these women come across as extremely sensitive, tortured. "Violent", too, in some passages. Both are capable of making a contradiction or a shift in outlook work like electric shocks or revelations. So it was a pleasure to hear them discuss "changes" together.

Do you remember a pivotal year, age or an event that led to the opening of a different perception of things, emotions or persons for you?

Grazia: Yes, when I was seventeen I was about to fall from the fifth floor of a building while chasing a pigeon that was eating at my window. He turned up at the wrong window and ended up as the neighbour's dinner. Months later I tried to fly, but I was saved in extremis by the arm of someone or other.

Simona: I have a natural tendency to think that decisive things will happen the following day. I definitely went through a rough patch a couple of years ago for many reasons. However, it was a period that opened up a new chapter in my life, both on a private and professional level. The life I lead now is more me and I'm far less afraid of many things.

A book, a writer, a journey which brought out a new awareness in you...

G: The writer who influenced me most as a person and in my writing is Robert Walser, particularly his Jakob von Gunten. I recommend his books to everyone. He is the classic example of a writer who has to die with his face in the snow, outside the mental home where he had lived for forty years, before achieving "fame". He is also a warning that one always writes out of necessity and never for fame, either during one's lifetime or posthumously.

S: A meeting, I think. With a writer – Vitaliano Trevisan – whom I read first then I met, and who helped me, albeit indirectly, to draw out the things that wanted to come out, but about which I had no distinct ideas. Jung, too, and psychoanalysis, opened up new and beautiful paths for me. Among the most influential books, I could say Bataille's literature, which still continues to influence me greatly, and some of Coetzee's novels.

Both of you as writers emerged during the second half of the Nineties. How do you feel narrative (including fictional characters) has changed since and where do you think it is headed?

G: The territories of visibility are increasingly of the televisioned kind. More and more books are being published. However, the greatest ones are killed off by the mountain of best-sellers.

S: I don't really follow it all much, I must confess. I read precious little narrative works, but I devour essays and poetry. Although one of the most recent books to really get to me was Gomorra by Roberto Saviano. I believe that Italian literature is discovering that perhaps it should soil its hands and injure its eyes with reality. Also, the contamination of genres seems to me to be the most exciting and fertile prospect.

And your writing? What do you feel has changed from your beginnings to the present day?

G: My goal is simplicity. I'm working on it.

S: I wouldn't know. Your remain yourself even though you are changing all the time. I'd go as far as to say that you become more like yourself. That is the nicest thing about getting old – when you can do it gracefully in life and in writing.

Among the many mutations that a sentiment may undergo, which do you find the most fascinating? Which do you find the most elusive and indescribable?

G: I think it's the constancy of a sentiment, whatever the sentiment.

S: From nothing to love. Love generates all the time, all around us. Even though it often hides very well. And disguises itself.

Do you prefer writing about drastic, violent, desired changes with which to steer one's existence, or those that are almost always gradual and gentle, administered to us by our existence and by time like sleeping draughts?

G: I do not like challenges. I do not like rage or pride. Changes can be quick or slow, they may be guided by instinct or through realization.

S: I don't know, I think every story has its own genesis and pace. However, by nature, I tend to go for drastic, violent leap-in-the-dark things.

How often have you told yourselves (or do you tell yourselves) that tomorrow you'll turn over a new leaf?

S: Never, life changes by itself, and I don't know how to make plans. I prefer to trust to impulse.

G: I prefer to hope that important things that concern all of us will change. As far as I'm concerned, it is time that changes me.

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Article published in spring 2007
in the large format urban culture magazine BMM.

Intervista a Grazia Verasani e Simona Vinci