Summer in Paris

Riscoprire Parigi quando arriva l'estate. Un'altra Parigi.
Percorrendola per giorni ed ore, per chilometri in bici, le macchine fotografiche nello zaino.

Scartando dal percorso le traiettorie più turistiche.

Vengono allora incontro le atmosfere più sospese, a tratti oracolari di questa "Città-mondo".
Rallentata, quasi svuotata, in questo periodo di luce protratta Parigi ridisegna i propri contorni.
Offrendosi come scenografia di colori, tracce architettoniche trascurate e dettagli marginali, riaccesi dal sole estivo.

Work in Progress. Updated on Summer 2024
Note su Parigi un pomeriggio d'estate

A Parigi una volta l'anno una sola tra le migliaia di boulangerie
si aggiudica "Le Grand Prix de la meilleure baguette",
il premio per la miglior baguette della città.

Oggi mi sa che mi è capitata la peggiore.

L'ho presa con 90 centesimi nel decimo arrondissement.
Sa di cartone da imballaggi. C'era da immaginarlo: era deserta, la boulangerie.

Però si sta bene all'aria aperta, oggi, anche con questo panino.
L'ho imbottito di pomodorini cerise,
lo addento accanto a cantieri in funzione anche se è domenica.
Un Falcon veleggia in cielo. Qualche industriale di rientro dalla Corsica, forse.

La domenica sera è il momento più rischioso per i pedoni:
la gente ha poca voglia di prepararsi la cena.

Così le strade sono tagliate all'impazzata dagli scooter 50 dei take-away.

Sbucano a sorpresa preceduti da un rumore di motosega.
Seguono traiettorie imprevedibili.
Saltano contromano sui marciapiedi.

Sotto l'asfalto, nel reticolo del métro, si producono altri fenomeni.
Chiudendo gli occhi, con la schiena contro la parete del vagone, si avvertono meglio le oscillazioni,
le curve che prende, frequenti.
Mentre sulla mappa il percorso è tracciato in linea retta.

Sceso dal métro, prima di riemergere all'aria aperta, lascio cadere quel che resta del panino - una pallina di mollica - sui binari. Una coppia di ratti affiora da un foro tra le traversine, avventandosi sul pane.
Tre ragazze sul quai opposto lanciano un urlo, si allontanano dal bordo terrorizzate.

Si sta meglio in superficie, decisamente. L'aria è pulita. Il calore della sera fa schioccare le lamiere dei tetti.
Decido che d'ora in poi mi sposterò in bicicletta.

Camminando, mi rendo conto che nella ricchezza della trama visiva di Parigi ci sono terrazze o cose di cui ti accorgi solo se qualcosa di inconsueto le segnala, per esempio la gru telescopica di un trasloco: come una freccia indica qualcosa che altrimenti non noti.

Oggi è la velocità delle nuvole: impressionante. Sembrano accelerare oltre il profilo dei tetti, dietro i quali si perdono. Nere e basse, stanno preparando un temporale da favola sopra la metropoli.

Finalmente arriva l'estate...

  Sediamo nel piccolo studio davanti alla finestra aperta.
Il treno passa sbuffando - la linea circolare che fascia Parigi.
Attraverso un etere elastico pare muoversi, in un'atmosfera elastica,
che è la stessa sui tralicci e nel profondo dei polmoni.

Un'atmosfera che include ogni cosa: altrettanto difficile per la locomotiva che per i polmoni umani.
La città palpita nella calura estiva. Il fiato della città lo sentiamo caldo alle calcagna.

Eccomi, in una stanza con vecchi amici. Sento ogni cosa vicina, permeabile, tangibile, che vive e respira.
Sento la stessa amicizia, la sua essenza che lentamente si invola dalla bottiglia chiusa.

Sento la simpatia del vino e della sciabola intarsiata appoggiata dritta in un angolo vicino alla finestra.
Ora dico una cosa che in America non ho detto mai: Sento una contentezza profonda. 

(Henry Miller, Parigi-New York andata e ritorno)

Parigi nei secoli si è sviluppata a chiocciola, una concrezione che parte dall'Ile de la Cité,
fa il primo giro degli arrondissement centrali, ne compie un secondo,
terminando con gli ultimi a Nord-Est, il 19ème e il 20ème, tra i meno borghesi.
Sono quelli che preferisco, che mi diverto a esplorare dopo il lavoro, o nel weekend.
Dietro le vie principali svelano microquartieri di fabbrichette dismesse, edilizia anni Settanta,
vecchi atelier
, autorimesse, macerie di case demolite.

Negli arrondissement più centrali il cielo, per quanto contemporaneo, è sempre riportato all'Ottocento
dai profili dei palazzi haussmaniani, sagomato da stucchi, bassorilievi. È un cielo lourd, pesante.
Così cerco l'evasione dall'austerità dei Boulevard, atmosfere da periferie USA a Parigi.
Bisogna spingersi a Nord-Est, negli ultimi arrondissement e anche oltre,
nella banlieue, a Les Lilas, Romainville, Montreuil.

Parigi strafotografata, mangiata dagli otturatori, scattata da chiunque,
e poi Parigi fuori dai corridoi turistici,
zone molto meno battute, da esplorare.

Andare a caccia di landscapes di ringhiera, architetture povere,
collages di tetti, calcestruzzi avariati.
Puntare verso il Quartier Massèna, o il grappolo di torri di Beaugrenelle e la loro skyline.

Così da République, con la linea 8 in poche fermate raggiungo Bagnolet. È qui che scendo oggi.
Prendo un Vélib' e mi perdo tra cortili e aree giochi, condomini e giardinetti che mi ricordano
Pordenone, San Donà di Piave.
Pedalo in salita per mezz'ora, cerco di non sentire il dolore ai polpacci.

Pedalo, e mi arrampico fino a un parchetto sopraelevato, Jean-Moulin les Guilands, non l'avevo mai visto.
La città è capace di regali incredibili.
Da un poggiolo arrugginito si spalanca una prospettiva a sorpresa
,
un volo sulla metropoli all'orizzonte.

La Tour Montparnasse, unico grattacielo nel centro di Parigi, mai inquadrata da questa distanza.
Svetta sulla distesa bianca di edifici in miniatura, lontani. Si staglia inerte, brunita e spenta.
Innestata sulla città come la vecchia cartuccia di un videogioco, senza più batterie.

Dal romanzo La grande stagione (Castelvecchi)