La circonferenza dei viali di Bologna, il giro completo, credendo al contachilometri dell’auto, è 10 km circa.
È una cifra approssimativa, d’accordo.
La misura al decimetro esiste, è senz’altro depositata, ma questo “all’incirca” basta a consolidare la sensazione
che la città, perlomeno quella che sta “dentro” alla circonvallazione, si presta a un passeggiare mai troppo stancante,
avendo a disposizione il tempo di camminare e fare qualche sosta.
La bicicletta è impareggiabile: asseconda le curiosità, permette una maggiore disinvoltura e padronanza dei percorsi, e l’andatura
sufficiente a far vibrare nelle orecchie una brezza che mette entusiasmo.
Lo scooter, se dato per scontato e irrinunciabile - ed è facile - (un po’ meno nel caso delle rare “vespe special che...”)
già distorce il senso reale delle distanze, specie nell’uso reiterato e compulsivo sulle tratte brevi,
per esempio dall’edicola al tabacchino e viceversa.
Ma, forse, nel pensiero dell’andata già comprendiamo pigramente la previsione del ritorno,
che si vuole compiere sempre più velocemente della prima, e quindi non a piedi.
L’auto, invece, in città, è un cavallo che bisogna saper cavalcare: chiede al proprietario una gestione consapevole
e disincantata, un utilizzo di piacere che compensi le seccature e i patemi generati dall’uso massivo e dalle relative contromisure civiche.
Queste ultime dispiegate con anche una parte di enigma da Grande Fratello, con telecamere alle porte, da sempre accese o forse no.
Oppure con divieti tra loro adiacenti e a fasce orarie intersecanti e la possibilità, dopo un’accurata interpretazione segnaletica,
di soste timorate negli interstizi spaziali o temporali.
Poi ci sono le eleganti strisce blu cobalto a terra, i limbi notturni in cui le regole diventerebbero quelle non scritte,
dunque più elastiche, confondendosi anche, complici le luci artificiali, i colori delle corsie sull’asfalto.
O il passo carraio in centro, magari quello che da sempre pare sigillato, saldato, e ti chiedi cosa mai vorrà uscire da lì,
la notte in cui finalmente la serranda si alzerà con clangore e qualcosa da dentro si muoverà,
si deciderà a uscire. Ma intanto, se occorre, ci si può piazzare davanti.
E ancora: il viale con semaforiche e incostanti “onde verdi”, con imbuti poco concilianti,
in alcuni punti in cui le tre file si stringono e piegano, tutti procedendo in seconda,
e le distanze paiono mantenersi da sé, per magnetismo, anche curvando a occhi chiusi.
E infine, poco più in là, la rotonda nell’ora snervata di punta, quando alla schiena ti può prendere per un istante,
se ci sei in mezzo, la sensazione un po’ acida che ciascuno stia guidando anche per tutti gli altri.
Insomma: un repertorio tutto sommato classico di fastidi che si muovono assieme all’ auto,
con gli optional e gli adattamenti richiesti dal contesto urbano bolognese.
D’altro canto la macchina, specie sapendo dove andare, permette l’accesso altrimenti laborioso o negato a una serie di luoghi (alcuni parchi,
molti esercizi notturni, ad esempio) che sentiamo appartenere alla città,
ma capaci, in quanto “fuori porta”,
di dare all’uscita il senso benefico del diversivo, o del cambio d’aria, dell’evasione.
In questo periodo, tra marzo e aprile, si crea però un’opportunità parecchio sfiziosa: basta mettere in moto,
scegliere la cassetta giusta, e infilare senza fretta un’ A14 scorrevolissima, uscendo infine sulla Statale Adriatica, la numero 16.
E fermarsi, dopo un’ora di viaggio imperturbabile e riconciliante, per esempio a Cervia,
a Marina di Ravenna, a Bellaria o, poco oltre, direttamente a Rimini o a Riccione.
Per captare un’atmosfera, regalarsi un gelato, cazzeggiare o studiacchiare sulla spiaggia in allestimento.
Per godere della bonaccia, di un cielo pallido ma terso anche all’imbrunire, per far galoppare il cane.
Per scattare qualche foto, fissare un pensiero, dimenticare o ricordare qualcosa.
E poi, naturalmente, per gustarsi un’anteprima sensoriale e galvanizzante dell’estate
che già comincia a farsi sentire nell’aria, a farsi desiderare.
(Articolo pubblicato nel marzo 2001 su Il Bello di Bologna,
supplemento del quotidiano Il Domani di Bologna)
... Ma confrontandoci
sull'argomento tra amici, da
anni, gente che di viaggi ne ha
fatti, ci siamo convinti che la
città dove puoi goderti di più
la vita, se hai tra i 20 e i 35
anni, ce l'abbiamo sotto i
piedi, è proprio Bologna.
La città d'Europa più adatta a
vivere una giovinezza epicurea,
libertina, sensuale.
Un estratto dal romanzo:
Esco contro l’afa. Bologna ad agosto è come un intervallo tra due
tempi di un film, una scenografia statica su cui glissano importune,
improvvise sirene della polizia, personaggi bislacchi, rari musicisti di
strada, chitarre che non tengono l’accordatura, ragazze da sole.
Camminano guardando lo smartphone, quasi con fede mistica. Come se
attendessero una rivelazione.
È la prima volta che mi trovo a Bologna a metà agosto.
Mi piace, a eccezione dell’umidità tropicale, da orto botanico, e della follia degli
scooter superstiti, ancora più survoltati che d’habitude, eccitati di
poter correre dentro la città come dentro a un videogame.
Osano scorciatoie assurde. Impennano, sgasano a vuoto. In via
Oberdan ne ho visto uno aggirare l’ostacolo di un cantiere facendo
un lungo tratto contromano sotto il portico, ho visto due vecchiette
scansarsi, quasi gettarsi a terra, elastiche come marines.
Il cielo in questi giorni è stato capriccioso, più volte si è addensato
di nuvole globulari nere e basse, senza che si decidesse a piovere.
Le foglie degli ippocastani sui viali sono agitate da raffiche calde e violente,
quasi tropicali.
Le poche auto rimaste nei parcheggi, i vigili superstiti le hanno
comunque multate, le contravvenzioni si accumulano sui parabrezza
come libretti di assegni, arricciati dall’umidità.
Si allunga in strada anche qualche gatto, di solito non se ne vedono.
Sì, mi piace, questa Bologna abbandonata a fustelle che saltano in
mezzo alla strada, a sacchetti di plastica volanti, a sporadiche ragazze su
biciclette con cestello, a cestelli con la frutta, a signore solitarie in abiti
leggeri, curate, gli zigomi asiatici, il gomito che sporge da un taxi.
Questa Bologna di graffiti che finalmente scandiscono i loro messaggi
alieni, perché invece di solito non li noti.
Di supermercati congelati dal climatizzatore al massimo, sotto il cui
soffio dolci commesse dimenticate alla cassa sonnecchiano, anzi: sognecchiano.
Di un ferragosto come un giorno qualsiasi, passato sui colli, al
giardino dei Cavaioni, con la stuoia e lo zaino, una bottiglia di Coca-Cola ghiacciata,
un tubo di Pringles e quel vecchio libro di Sciascia,
La scomparsa di Majorana, che ogni tanto amo rileggere, forse accarezzando
l’idea di sparire pure io, un giorno.