Il carattere delle notti a Bologna dipende certamente dall’umidità, dal calendario degli esami, dalla tendenza di stagione, dalle propensioni interiori.
Ma anche da correnti vaghe, beffarde, che fanno capo soltanto a se stesse, e dalle quali ci facciamo cullare volentieri.
A poco serve cercare di tematizzare la notte, di darle un’etichetta per ogni giorno della settimana, perché a Bologna essa conserva un’imprevedibilità che spiazza.

bologna via del pratello di notte

Bologna, via del Pratello di notte

 

Puoi avvertirne l’andazzo lì per lì, mentre si sta accendendo, coglierne un assaggio dalla tua stanza, anche a finestre chiuse: se abiti in centro valuti il vociare che sale dalla strada; se la tua camera è poco distante dai viali sarà lo scivolare delle auto, la sua frequenza, a fornirtene il polso.

bologna via zamboni di notte

Bologna, tra via Zamboni e Piazza Verdi di notte

 

Se sei in periferia saranno il tuo cellulare, l’invito raccolto in facoltà ad accenderti,
a renderti impaziente, o invece un libro, un programma denso per il giorno dopo,
ti convinceranno a non uscire.

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Spesso la nuova notte viene abbozzata già in tarda mattinata, dopo il risveglio placido o tormentato, durante il pranzo-colazione delle 14, nel ricordo anche corporale, gastrico, della notte appena trascorsa, che può influenzare, decidere il sapore di quella ancora da vivere.

L’ipotesi acquista poi forma in facoltà, in sala studio, nella distensione assoluta della “pausa-paglia”, e nel formicolio di via Zamboni, delle vie amiche, tra il crostino e il caffè, diciamo tra le 16 e le 18, quando l’umore, la risata, si fanno condivisi, gioiosamente trasmessi anche ai lati, attorno, e montano a poco a poco l’atmosfera collettiva, l’eccitazione (specie se c’è il sole), o ci adagiano nella perplessità, nel torpore.

L’ora seguente, quella dell’aperitivo, per alcuni diviene un ponte, anzi uno scivolo tra il pomeriggio e la notte, che d’inverno, tra l’altro, quasi si confondono.
La sigaretta sostiene il commento, l’ammicco, accompagna la grattatina d’orecchio, al tavolino; seduti, basta attendere e - puntuale o in ritardo accettabile - arriva quasi sempre la proposta, la genialata su come investire il dopo cena.

Per altri quella è invece l’ora dello stacco, del ristoro, del dormiveglia a stomaco vuoto: si uscirà poi, con calma, con un’altra gonna o un altro paio di scarpe, e con un’ energia rinfrescata.

E poi per strada, nei pub, nelle case, improvvisando o partecipando finalmente all’evento,
alla festa, all’appuntamento contrattato, fissato, atteso.
Tutti a giocarsi di nuovo la notte e le sue molteplici variazioni e sorprese.

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Ma attenzione: la città, sorniona, non svela del tutto il perché di certi flussi collettivi di calore, che ognuno avverte salire anche in notti sulle quali - vuoi per il giorno, vuoi per il clima - non avresti scommesso un soldo, e che misteriosamente mancano in altre, quando sulla carta il divertimento era stato assicurato, e invece anche la propria serata d’elezione si rivela un po’ spenta.

Forse è anche questo uno dei motivi per cui facciamo fatica alcune sere a rimanere a casa, a Bologna, inquietati dal sospetto che, non uscendo, qualcosa di importante ci scorrerà irrimediabilmente accanto.

(Il Bello di Bologna, supplemento del quotidiano Il Domani di Bologna, 2001)

 

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... Ma confrontandoci sull'argomento tra amici, da anni, gente che di viaggi ne ha fatti, ci siamo convinti che la città dove puoi goderti di più la vita, se hai tra i 20 e i 35 anni, ce l'abbiamo sotto i piedi, è proprio Bologna.
La città d'Europa più adatta a vivere una giovinezza epicurea, libertina, sensuale.

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Un estratto dal romanzo
Una festa sui colli bolognesi

Sabato scorso avevo fatto un salto da Mediaworld. Ogni pretesto è buono per tenersi alla larga
dal triangolo Indipendenza-D'Azeglio-Farini, le vie più commerciali di Bologna, prese d'assalto nel weekend.
Gente che corre in settimana, per infilarsi in uffici alienanti, sotto luci che friggono al neon. Gente che corre nel weekend, per entrare o uscire da negozi, con oggetti, vestiti, che odorano di petrolio, che durano un niente.

Evito se possibile i portici di via Indipendenza anche perché non sono antichi ma vecchi, quelle colonne annerite dallo smog contrastano male con le vetrine rutilanti dello shopping, con le sincopi hip-hop diffuse dalle boutique anche all’esterno, sempre più incalzanti: una sensazione fastidiosa che non riesco a sostenere per più di qualche minuto.

Da Mediaworld cercavo un rasoio elettrico per le basette. Angela stava lavorando come promoter per un guscio, un pezzo di gomma del valore di qualche centesimo, in offerta a 29,90 euro.

Mi ha attratto quel movimento assurdo del suo braccio, che vedevo oltre la corsia. Scagliava il guscio per terra, poi estraeva lo smartphone, intatto. Faticava a venderli.
«Prova anche tu» aveva detto. L’ho scagliato al suolo ma niente. È rimbalzato, intatto, senza un graffio.
Ho capito che era uno smartphone farlocco, con il vetro antiproiettile, o qualcosa del genere.

Riempie in modo sublime un abito lungo bluemarine, mentre la vedo uscire dal portone, stivaletti neri.
Lo spacco laterale da cui si intravede la fascia dei collant è un attimo di stordimento, quando entra nella Opel.
Andiamo da Vito in via Musolesi. Negli anni Settanta ci veniva Guccini, che abitava qui vicino, in via Paolo Fabbri, ci si accampavano Lucio Dalla, Claudio Lolli.
Alla parete c’è una foto con Guccini che imbraccia una assurda chitarra folk, accompagna Dalla al clarinetto. Ogni volta che ci vado mi diverto a chiedere se è passato di recente, Guccini. «Era qui giusto ieri» rispondono sempre.

Sono a mio agio con questa ragazza di Reggio Calabria, allegra, estroversa, dai capelli castano scuri, non tinti. Ha parecchi bracciali e se li aggiusta spesso, mentre gesticola. Studia al Dams. Le piace cantare. Le chiedo del guscio. Dice che ne avrà venduti tre, alla fine. «Se non c’eri tu che mi facevi un po’ ridere» mi fa. Ma non è un problema. L’agenzia la chiamerà per altre promozioni. Pagano bene.

Le piace il lambrusco che il cameriere ha sbattuto sul tavolo, dentro una caraffa scheggiata, bofonchiando qualcosa in bolognese, che non abbiamo capito. Al secondo bicchiere mi trova carino, dice. Taglio la carne lentamente, lungo le fibre. Altrettanto lentamente la mastico. Restare leggeri, masticare piano. Quando il cameriere porta il digestivo Angela mi sta tenendo la mano. «Che grande» dice, «Pensa se tiri una sberla a qualcuno». Sento le sue dita sudare.

C’è una festa sui colli, me ne aveva già accennato al telefono. Il casolare di un professore di lettere, suo conoscente. Si raggiunge infilando una deviazione della strada collinare.
Hanno incollato a un palo una freccia con l’indicazione. Si deve salire per una strada stretta, di asfalto vecchio, quasi bianco. Nel parcheggio sentiamo le risate di gente in terrazza. Viene ad aprirci il professore. Sorriso conviviale, barba di tre giorni, canna tra le dita. Abbiamo portato una bottiglia di lambrusco presa da Vito. Saliamo la scala a chiocciola che sbuca in terrazza.

La vista è stupenda, la città sembra un presepe di punti gialli e arancio, lontano, galleggiante in mezzo al buio della pianura. L’aria è trasparente, mossa da una brezza leggera ma fredda, non ancora primaverile. Angela torna dal bagno. «Indovina cosa ho cambiato?» mi chiede.
Si è messa dei collant più spessi, quasi dei leggings. Aveva freddo. Belle ragazze, si servono da sole aprendo il frigo, estraendo con gesti un po’ scoordinati tappi di sughero da bottiglie di prosecco.
«Una festa è riuscita quando ci sono più ragazze che maschi» quante volte l’ho sentito dire a Silvia, le sue mitiche feste di via Irnerio, quando ancora abitava con le coinquiline siciliane. Peccato per quelle che ha adesso, meno socievoli, morigerate. O forse solo troppo giovani. Peccato per i suoi vicini, che diventano sempre più rompicoglioni.

Belle ragazze. E Angela non è da meno. La situazione sarebbe piaciuta anche al Jaco. Gli ho scritto di passare, mi ha risposto da qualche ristorante di provincia. «Radical-chic o gauche caviar?» ha scritto, e me lo vedo, mentre imita Nanni Moretti.
Gli mando una foto della biblioteca: foderata di volumi, con la scala a rotelle per gli scaffali alti. Collezioni intere di Meridiani Mondadori, Coralli Einaudi. Angela mi stuzzica con bacetti sul collo. «Ho ancora freddo» dice. «Avrei dovuto prendere un maglioncino».
Le propongo di rilassarci un po’ da me. Ho un futon giapponese, le spiego. Del limoncello di Amalfi, millesimé. «Dici a tutte così?» mi chiede, un sorriso di sfida.

(Continua a pag. 77...)

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