Ogni tanto si sente ripetere, col piglio un po’ rassegnato dell’evidenza, che “Bologna è un paesone!”,
che andrebbe quindi avvicinata e considerata con un metro da paese o poco più.

Paesone. Questa etichetta vuole sintetizzare il fatto che, in capo a qualche mese di vita bolognese, diventerebbe assai facile, in questa città apparente, imbattersi ad esempio in qualcuno che,
dopo averci per chiarezza collocato nella geografia d’Italia, vanterà nella propria compagnia
come minimo qualche nostro conoscente, qualche ex compagno di liceo, amici di amici.

bologna azzo gardino cineteca


Oppure incontrare o rivedere, per caso e con frequenza preoccupante, le stesse facce “già viste” di gente di fatto sconosciuta, sentire accennare di passaggio a una ragazza che ci verrà per coincidenza presentata dopo pochi giorni, da un tizio una buona volta inedito, però “paesano” non abbiamo capito bene di chi.

In sintesi “paesone” sta a segnalare, con l’ennesimo stupore e un’allargata di braccia, che non si può mai risultare beatamente e del tutto sconosciuti a Bologna, che mantenere una privacy esclusiva qui non è possibile, è un’illusione. Bisognerebbe trasferirsi a Modena, per esempio: traslocare in qualche città!

Esci una sera, vai al pub, attacchi a chiacchierare con una ragazza, ed è probabile che il discorso dopo un po’ inciampi in una terza persona, di solito dipinta con toni piatti, per non cadere nella gaffe: per esempio “quell’artista” che gestiva un bowling al tuo paese e che ora fa il sommozzatore in Costa Rica e lei, la ragazza al pub, lo ha conosciuto l’estate scorsa in vacanza, a Cesenatico, ne conserva un ricordo sorridente e prosaico, associato a un massaggio con l’olio abbronzante.

bologna festa appartamento

C’è da dire che la città è un bacino che ne ospita tante altre, più piccole e familiari, stratificate, tante comunità marcate in primo luogo dalle generazioni di appartenenza (e all’università il metro di una “generazione” sono i tre, quattro anni).

Sono “giri” che ruotano e convivono fianco a fianco, che collidono o combaciano sotto precise scadenze o situazioni, che si sigillano a doppia mandata in comparti stagni, che si ibridano o frullano per poi emulsionare all’improvviso dietro una nuovo mood, a una nuova tendenza sufficientemente ecumenica e prêt-à-porter.

Balzano ai nostri occhi soprattutto le ragazze o i ragazzi che hanno un aspetto familiare, una data di nascita accomunabile alla propria: le camicie col cavallino e le t-shirt da montagnola col papero, le matricole e i laureandi (ma anche l’asilo e le elementari), se si incrociano per strada, al primo sguardo si notano a vicenda, ma con distrazione, a meno di vistose colorazioni o esternazioni.

bologna portici zona universitaria
bologna zona universitaria accademia via belle arti
E poi c'è da dire che una volta perduta ogni soggezione nei confronti di un ambiente comunque vario e complesso, cominciamo a ricostruirne un’altro, a noi più congeniale.

E così andiamo ad abitare la città semplificata e confortevole disegnata dai nostri percorsi quotidiani, dalle nostre reiterazioni, dalla geografia personale e reticolare di luoghi, riflessi acquisiti, intermezzi, persone.

Ecco perché, in fondo, coloriamo quel “paesone” anche di una sfumatura affettiva, di una vena di sorniona rassegnazione: ci piace sentirci come pesci nell’acqua proprio in quel paesone che noi stessi ricreiamo in città, fosse anche solo quello del nostro quartiere, della libreria, del minimarket o del tabacchi d'elezione.

Ma, in momenti in cui (la domenica mattina, ad esempio) le cose si lasciano osservare meglio, si rivelano come soggetti e non oggetti, sarà la città stessa, spogliata da interferenze, a ricordare, sventolandoci in faccia dettagli finalmente visibili e fino ad allora mai notati, che noi assaggiamo solo una parte delle tante opzioni realmente a portata di mano.

E ogni volta che ci accorgiamo di uno spigolo, di un portico che in tanto tempo non avevamo mai visto,
anche se l’abbiamo sempre avuto sotto al naso, mettiamo facilmente in dubbio il nostro spirito di iniziativa,
e riprendiamo a ruminare il buon proposito di aprire la nostra rosa di riferimenti a nuove possibilità.

bologna scrittori bolognesi, finestra di via piella
È allora che guardiamo con rinnovato interesse al nostro “paesone”, riconoscendolo come un giocattolo familiare che però, basta volerlo, possiamo agevolmente smontare per poi ricombinare e personalizzare in modo sempre originale, attingendo alla ricca dotazione di “pezzi” - scenari, atmosfere, pratiche quotidiane - che Bologna ci mette a disposizione.

(Il Bello di Bologna, supplemento del quotidiano Il Domani di Bologna, 2001)

 

... Ma confrontandoci sull'argomento tra amici, da anni, gente che di viaggi ne ha fatti, ci siamo convinti che la città dove puoi goderti di più la vita, se hai tra i 20 e i 35 anni, ce l'abbiamo sotto i piedi, è proprio Bologna.
La città d'Europa più adatta a vivere una giovinezza epicurea, libertina, sensuale.

scrittori bolognesi paolo ruggiero estratto libro grande stagione bologna vita studentesca

 

 

Un estratto dal romanzo:

Me la immagino su un divano Roche Bobois, la sera, calzettoni di spugna anche d’estate, pescare davanti a Netflix chips ai gamberetti assieme al suo tipo, area manager o ingegnere meccanico, con una gatta che protesta perché in astinenza da crocchette. È così che me la vedo, e forse mi sbaglio.

Lavora qui dall’inizio. Sono già quattro anni, ha detto. Bologna le piace. In Francia non ci tornerebbe. Mi ha fatto accomodare alla mia postazione. È ben orientata: sono accanto alla finestra, alle spalle ho il muro. Dietro una tenda oscurante intravedo il palazzo di fronte.
Due schermi affiancati sono una comodità, ci si lavora bene. Dovrebbero metterli anche in sala studio. La definizione anche qui è ottima, neri profondi, dettagli nitidissimi.

Camille mi ha mostrato i programmi che usiamo, mi ha presentato la sua stagista, Sonia, gli informatici, ragazzi sui vent’anni. Hanno alzato appena la testa dallo schermo, assorbiti dai codici.
Controlla Outlook: mi hanno già attivato la posta. Apre una cartella che contiene documenti che mi raccomanda di leggere, istruzioni su come trattare le foto, check-list da verificare, indicazioni su dove si trovano altri documenti. Mi lascia “giocare” con i vari programmi.

La pausa pranzo dura un’ora e mezza. Se voglio faccio in tempo a tornare a casa. Via Fondazza dista quindici minuti a passo veloce. Camille spiega che di solito si fanno recapitare in ufficio sushi, oppure tranci di pizza, tramezzini. Alle undici ha inviato una mail a tutti: «Sushi o pizza?». La maggioranza ha scelto sushi.
Mi sono unito a loro. Si mangia in sala riunioni, la finestra aperta, per evacuare l’odore di alghe e antibiotici che altrimenti impesta la stanza.

Dopo il caffè Camille mi chiede se ho letto i PowerPoint con i workflow dell’agenzia, le procedure relative alle immagini. Tra le altre cose, verificare sempre che nelle foto non ci siano messaggi discriminatori, incitazioni alla violenza, nudi. Le targhe di auto e scooter vanno sempre cancellate. Il fatto che siano foto di agenzia non deve esentarci dal fare un ulteriore controllo.

Finita la pedagogia, mi salva sul server le prime foto da ritoccare e riquadrare, da reinviarle entro sera.
Sui miei schermi ci sono ancora le ditate di chi mi precedeva, lasciate probabilmente in corrispondenza di dettagli, di righe mostrate a Camille, o a Cédric. Aspetterò qualche giorno, per non fare l’ossessivo. Ma li pulirò con uno spray e un panno.
La giornata è evaporata senza drammi. Non ho pianto: pur sempre meglio di un primo giorno all’asilo.

E così da oggi faccio parte anche io della Bologna che lavora. Già, esiste pure quella. Ma continuerò a tenermi alla larga dalla scansione brutale feriali/festivi, dai sabati pomeriggio in centro. Nel weekend continuerò a evadere verso l’Adriatico, o sui colli: già solo il rumore della folla sotto i portici in via Indipendenza al sabato, quel rombo basso, colloso, lo trovo disumano, affliggente.
Decisamente preferisco la notte. Quando i negozi ridiventano vetrine, le luci sotto i portici si abbassano e affiorano anche lunghe, miracolose parentesi di silenzio, come a teatro.

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